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Archive for Maggio 2017

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(appunto, e le 17.15 di un pomeriggio qualsiasi)

non c’è verso, nemmeno maniera,
più su è soltanto smania di cielo.
tu pensa alla nuca, e poi qualcosa di mio.
nulla è fuori luogo, fuori dal luogo ora.
quella quantità che smagrisce è toccare,
e l’adesso e l’universale. tu che scrivi
gli steli altissimi che smarriscono il prato,
i fianchi mietuti dalle persiane socchiuse,
e un pomeriggio che non basta ma altro è troppo.
poi la voce e gli isolati da dove tu leggi
la veduta certissima di com’è scritto nei libri,
il lato di un fendente che si getta a indovinare
e il suo rovescio che non c’è

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VIOLETTA: Prendete questo fiore
ALFREDO: Perché?
VIOLETTA: Per riportarlo…
ALFREDO (tornando): Quando?
VIOLETTA: Quando sarà appassito

bambinesca figura tu che ti estingui
spargendo oggetti sui lati di una strada.
le capigliature, le sedie, il giardino,
un pianoforte, e le bambole sciupate
in fondo alla sala. solo quella mano
illustrata d’arance emette un fracasso
di bocche odorose. donne passano
senza raccogliere nulla. altri passanti
rassettano un vestitino, sciolgono
i nodi più antichi tra i capelli. c’è chi
tenta la nota più bassa. chi una manciata
di semi. chi forse a memoria ti bacia. e tu
in piedi al posto di una pagina. è solo
da qui che possiamo narrare o arrivare,
somigliare o scordare, cadere o vietarci.
è solo da qui che sfogliandoti possiamo
vedere, e guardarti è come sparire

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porta_appena

(come un’origine queste insenature di luce, quasi passi di bocche sulla soglia del corpo.
più tardi le voci in qualche cortile di aperte campagne, e sole remano immobili nel nulla le cose)

– Imolo 2017 –

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(appunto sull’attimo così felice)

non so da cosa tu inizi quando lui si siede.
l’infelicità finita in un caso di luce,
l’eventuale voce dopo il frantume,
l’ansia dell’ancora l’istante che va giù,
o lampi e nient’altro

(tuttavia se solo lo osservassi
con una certa insistenza
l’attimo che lui scrive –
gli si contano
le vertebre soltanto,
penseresti)

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(dal basso e sordi
si gettano sorsi di luoghi
tenuti in vita perché
nulla cada sul vero) o

rami di frutteti da quella parte
che passano, dove le foglie
ignorano il posto che germina,
e ci vorrà un po’ di tempo
per capire se i frutti poi, o
anche solo voci gaie di raccolti
staccheranno infine il volo

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(tutto, purché tu sia felice)
una distesa di giorni
da attraversare di corsa,
ad occhi chiusi, a fari spenti.
(e finiremmo per crederci)
come si muove tra le altre
sottovento e controsole
la strada che mai accosta,
e non si dà pensiero

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(tentativo di un appunto che non c’è)

– basta non gridare, ti scrissi.

vedremo al massimo l’atto che inizia e
non più in là della vestaglia dell’alba.
solo più tardi proseguire inanimati nell’incerto,
ruscelli irrequieti fra poche grida, mani
di bianco come fa’ il vento sulle specie malaugurate,
voli radenti d’uccelli su abitati sfuggiti alle case.

che altro potevamo se non maturare a nudissima cosa
nel tacere dei campi,
a mani nude, e fragili fronde

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il film diventa probabilmente d’amore quando lui le dice:
non riesco ad immaginare niente di più bello
che invecchiare con te.

perché io non so mai quell’esterno di sguardi semplicissimi
su tutte le pagine che non ho letto, lì dove il giorno finisce,

e gli estremi si fanno franosi,
musei di memorabili parole mancate

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(appunto di un appunto n.0)

[adesso che tutto resta,
leso e tagliente.
una ciocca dei tuoi capelli,
un cartello stradale divelto,
una baracca dove un bosco
e una linea sterrata che porta.
poi tante colline, tantissime
colline, e la campagna fresca
di troppe mattine. adesso
quel tutto che c’è m’assenta
un viso, il vanto di una preda
sottovento, il cuore della notte
come una luce per caso]

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(appunto di un appunto a vuoto)

qui dove nulla torna perché tutto resta
lungodegente sotto le suole del mattino,.
ma poi cosa rimane di questo panico?
il gradino di una scapola?
i capelli in cima alle ombre?
il timbro di voce dell’azzurro?
lo schiuso d’orli stupefatti?

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(minima)

[l’inespresso di quel bello di
quando tu taci è
il frutto di un cielo,
così ti scrivo che fuori piove,
e dalla finestra
osserveresti le ortensie
già chine, una manciata
di rose che si scrive sul muro]

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(semplice appunto, argomentando qualcosa)

la primavera del gesto
è un sole a parte
e il cuore
a seni nudi

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(per questa volta di archi)

[affacciata qui
se mai qui ti affacciassi,
fatta di natura
se mai la natura ti mancasse
di ramificare nel vento]

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questa mattina di pioggia il giardino è un tremato di seni,
foglia a foglia, o se preferisci magre spogliarelliste in bilico
che somigliano a qualcosa di bach che ora non ricordo.

(solo per dirti che
artisticamente è il cielo fuori luogo, quel cielo che corre incontro alle cose
quando tu smetti la mattina e ti rivesti senza scrivermi perché)

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dove finiscono i tuoi capelli
di mattina quando la notte
si è spostata non si sa dove e
non resta sulle cose che
la capigliatura delle tue mani
quando il vento e l’effetto
dei tuoi occhi

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