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Archive for giugno 2010

 

[5 righe semplici perché è sera, perché oggi potevo potare le rose con l’equilibrio di un bambino e non l’ho fatto]

una vestaglia di cose
ti scendeva le spalle
quasi fosse mattina
nella mia ora di cena
che poco fa era qui

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[prima scelta dei reati minori] (da un mio taccuino)

[questa mattina, stanza sono tutte quelle parole in cui dentro, e che posso chiudere
dietro di me]

[scrivilo, perché poi qualcosa accade. che la lampadina nella mia stanza si accenda da
sola, o lo sbattere della persiana contro i vetri in una giornata senza vento.

e ne sarai calmato]

(e poi) [questo prenderti dal piatto con le mani e portarti in bocca, e questo
assaggiarmi nel pensarti. è un tragitto finché c’è posto il tuo ultimo corpo, e lì
nasconderci]

[tu – odori di luoghi quando tutto sparisce]

[poi iniziarono a crescerle quei seni bambini, quelli che aspettavano quando c’è una
giornata di sole e il cielo sparisce, e più tardi la mano di lui]

[c’è sempre un chiarore per terra e i corpi che gli amanti scrivono nei fogli
fiduciosi, e più tardi in cima alle cose dove stanno le loro dita rimaste e la posizione
del cielo]

[non belli in ogni singola parte, loro, ma quanto bastava, e poi per le cattive
stagioni l’ombra esatta dei loro corpi sbagliati]

[perché, alle 21.30 di tutte le mattine dovremmo fissare l’ora di chiusura dei testi.
rincasando troveremmo una scena familiare, e qualche fossato di beltempo da scavalcare. le
barche trascinate fuori dall’acqua. e quel nulla più da scrivere che si finirà per
amare]

[è mattina presto e scrivo, perché ti dovrei due righe su come fanno il mio giardino
e il lago poco più in là quando è mattina presto e perché la luce cade in questo modo
esatto e mai chiaro sulle cose e come le apre, e come non so mai se per gioco o per
tristezza]

[dimmi che tutta questa sera è poesia, la mia mai poesia]

[quel limone spaccato a metà sul tavolo, quasi fosse una poesia di ritsos, e dietro la
finestra un corpo nudo che la scrive con una sguardo]

[l’espressione della luce quando cade nella camera vuota, la tristezza di un lavandino
in una giornata di pioggia]

[qui piove da giorni, pare da sempre, e non ricordo nemmeno quando tutto ebbe inizio,
il cielo, il giardino, la pioggia, i polsi, le ascelle, le singole parti di un modo
preciso per farsi capire….]

[lui che scrive, poi è un’arte maltrattare l’infelicità]

[la perseveranza nell’immaginario è quel gioco di parti avverse, io ovunque, tu
casomai ieri pomeriggio: la commedia dell’assoluto, che l’istinto di sopravvivenza rende
necessario, ma non incombente, come quella cosa dolce che sembra provenire dalle finestre
aperte sull’estate e priva di colori ma solo un tono di gelo, profili di rami a lungo, e
tutto quell’esserci stati e mai si potrebbe tradurre la rinuncia poetica, la parola esatta
che trattiene sulla pagina che ci sta a fianco l’esercizio inguaribile delle cose vissute]

[metti la camera da letto o adesso che scrivo, disordinatamente l’attimo, quel troppo
presto di me tra le cose cresciute sul finire di nessuno]

[è quasi estate. casomai l’inquadratura tornasse sulla ringhiera che dà sul mio
giardino sottrarrebbe verticalità ai miei seni-bambini. come mi sporgo la trama si
conclude in un disordine floreale. correggi lo sguardo prima che si accorga di te. da
giorni la ringhiera lascia circolare solo la notizia del nostro malore di dolcezza, io ed
il giardino soltanto e qui. l’infelicità è un attimo disordinato di meraviglia]

(quando le disse l’amor suo: non avrai altro vestitino sciupato che me) il vuoto delle
ascelle / quando le apri / sollevando le braccia / per tenergli stretto / il viso al mondo
( tu che sorridi alla maniera di eluard)

[qui da dove ti scrivo piove da giorni, e null’altro, perché la nudità è una sosta
(chiamala cautela o disamore), quei seni retrocessi sino a sbottonare la pelle. e dopo la
mia finestra, in verità, c’è solo un lievissimo maltempo, e momenti sul petto, come
ti si oscurassero i seni nell’ombra che fanno le ossa]

[mattina romanticissima da telegramma n. 0: poeticamente l’amore è quella manciata di
fogli dietro la notizia che si muore una parola per volta / p.s. lo scrivo con quella
chiave di bianco che come sai apre tutti i miei sorrisi]

 

(date varie, primavera/estate 2010)

 

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[appunto improvvisato ora, perché non si ascolta se lo leggi]

da quale vento, e prima che l’aria possedesse un qualsiasi
movimento o squarcio tenue dove entrarvi, potremmo essere piegati
o anche soltanto scivolati nell’attimo successivo, quell’attimo
che è sempre più recente di noi che stiamo sempre quei pochi passi indietro
rispetto al punto più sensibile dell’assoluto da dove giungono sempre quei venti
che non hanno mai avuto inizio né cielo e quell’ora stabilita che meriteremmo
che è poi quell’aria che è un tempo che respiriamo, che è adesso

(ora, da mattina)

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(appunto. 0 e nient’altro)

la perseveranza nell’immaginario è quel gioco di parti avverse,
io ovunque, tu casomai ieri pomeriggio:
la commedia dell’assoluto,
che l’istinto di sopravvivenza rende necessario,
ma non incombente, come quella cosa dolce
che sembra provenire dalle finestre aperte sull’estate e
priva di colori ma solo un tono di gelo,
profili di rami a lungo, e tutto quell’esserci stati e
mai si potrebbe tradurre la rinuncia poetica,
la parola esatta che trattiene sulla pagina che ci sta a fianco
l’esercizio inguaribile delle cose vissute

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(appunto. 0 di questa mattina di quasi estate)

(appunto. 0 di questa mattina di quasi estate)

[è quasi estate. casomai l’inquadratura tornasse sulla
ringhiera che dà sul mio giardino sottrarrebbe verticalità ai miei seni-bambini. come mi
sporgo la trama si conclude in un disordine floreale. correggi lo sguardo prima che si
accorga di te. da giorni la ringhiera lascia circolare solo la notizia del nostro malore
di dolcezza, io ed il giardino soltanto e qui. l’infelicità è un attimo disordinato di
meraviglia]

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