[tra il nome di un luogo e la mia cucina]
forse era l’inizio di una sedia. prendi una stanza vuota
e al centro qualcosa che quando taci ti assomiglia. poi
possiamo solo scrivere che c’è una finestra, una finestra
da dove verrebbe quel chiarore delle cose, quelle cose
sopra le quali potremmo posare le mani, quelle cose che
ci direbbero che noi saremmo lì, dove c’è una finestra che
dà su una stanza vuota dove al centro quel sembrarci
di parole che fanno i luoghi del leggere, delle pagine che
ci nascondono alle mani e di tutti quei nomi che avevamo
prima che la sedia nascesse, lì dove ora sediamo, a volte
tacendo, a volte dialogando, soli di noi al centro di quella stanza
troppo nuda che è quella sola finestra da cui oggi ti scrivo
spiazzato dal malore infinitamente bello di quella sedia che ora c’è